I primi 10 anni di Zoia Officine Creative
Nel 2013, più precisamente il 12 settembre, nasce ZOC, Zoia Officine Creative, un progetto dedicato a creativi che hanno lanciato la propria start up a impatto sociale, ospitato da “Zoia, l’abitare popolare” il progetto di social housing delle due cooperative Solidarnosc e Ferruccio Degradi, promosso da un Bando del Comune di Milano, per la realizzazione di 90 alloggi in proprietà, affitto convenzionato e sociale. Un progetto nato da un lato per rispondere alle esigenze di una nuova forma di imprenditoria socialmente rilevante, e dall’altro per esaudire il desiderio crescente di una nuova partecipazione sociale e culturale dei cittadini e degli abitanti del quartiere.
La domanda sorge spontanea: come? In occasione del 10° anniversario di ZOC, lo spiega Federica Verona, Consigliera di CCL, coordinatrice e ideatrice di questo polo del sapere e del fare.
Federica: ZOC è un progetto che nasce dapprima da un bando del Comune di Milano per la realizzazione di spazi destinati alle attività di quartiere per una superficie di 300 mq. All’epoca non esisteva la dimensione del lavoro odierna, e nemmeno spazi di coworking, era un campo ancora inesplorato. Poi un giorno, parlando con un mio amico libero professionista, lui mi disse che per una postazione in un ufficio pagava 300 € al mese. Da qui, l’idea di suggerire al Consorzio Cooperative Lavoratori il lancio di un contest aperto ad artigiani, artisti, lavoratori liberi professionisti, che potessero dare una forte connotazione culturale alla nuova area del quartiere. Per noi questo è stato un aspetto molto importante da tenere in considerazione, credendo fermamente nella cultura come motore sociale specialmente in contesti di periferia. La proposta che abbiamo avanzato prevedeva l’offrire ai lavoratori spazi a costi molto contenuti (il canone di affitto equivale a 150 euro al mese più le spese) chiedendo loro “in cambio” di promuovere attività per gli abitanti del quartiere e i cittadini. Questo progetto in realtà è stato definito grazie ad un lavoro pregresso svolto insieme a Francesca Naboni di Confcooperative. Avevamo già aperto un blog dove grazie ad un lavoro di ricerca condotto insieme a Paolo Campagnano, siamo riusciti a mappare il quartiere e a sintetizzare i bisogni dei suoi abitanti, al fine di avanzare proposte di attività e progetti che non fossero “calati dall’alto”, con il rischio che poi questi non fossero veramente interessanti per la comunità. Zoia, infatti, fa parte ancora di quella vecchia Milano fatta di botteghe e attività di vicinato, volutamente non scardinate o snaturate. Così, io e Francesca, insieme a NoiCoop – che proprio in quel peridio stava nascendo e questo progetto ne è stato il battesimo – abbiamo girato un video che raccontasse lo spirito di questa iniziativa per lanciare il contest che alla fine ha visto premiati i quattro “creativi” che hanno presentato un progetto innovativo e stimolante dal punto di vista sociale per il quartiere e gli abitanti: Luciano Garofano (G-Major) che oggi fa il liutaio a tempo pieno (e all’occorrenza il tuttofare del quartiere); LeLabò che raggruppano scenografe, costumiste, lavoratrici del mondo del teatro; “L’architettura è servita” che a Zoia ha aperto uno studio di architettura con il pollice verde. Infine “Zoia-Gallery & lab”, una galleria d’arte di periferia curata da Erika Lacava. Alcune attività si sono poi spostate, come nel caso della galleria d’arte, i cui spazi sono stati inglobati a quelli di Lelabò e vengono utilizzati per mostre, mercatini ed attività aperte agli abitanti del quartiere e alla cittadinanza. Da qualche tempo, invece, hanno aperto una ciclofficina, un servizio molto apprezzato nel quartiere; così come il nuovo studio fotografico di Alessandra Leocata.
Tutti loro contribuiscono da molti anni ormai a costruire una dimensione sociale, culturale e artigianale nel quartiere. Li definirei proprio un presidio: insieme a loro abbiamo organizzato tanti progetti, come quello del Piazzale della Cooperazione che è diventato uno spazio vivo destinato fisiologicamente ad attivare processi sociali virtuosi, senza alcuna velleità di far partecipare tutti a tutte le attività o imporre eventi che esulino dall’anima del quartiere.
A distanza di dieci anni, com’è stata e com’è oggi la risposta degli abitanti a questo progetto?
Federica: All’inizio è stato abbastanza complesso perché non tutti gli abitanti sfruttavano questa nuova potenzialità del quartiere, ma all’epoca non venivano organizzati ancora laboratori e attività come avviene oggi grazie a Noicoop. Adesso, infatti, si è sviluppata una serie di progettualità con il quartiere, con una rete di associazioni e gruppi informali grazie ai quali vengono organizzate feste di quartiere che vedono arrivare gli abituanti da tutta Milano; ma anche reading pubblici, workshop e corsi a prezzo calmierato aperti agli abitanti di Zoia. Tutto ciò ha reso possibile la creazione di una dimensione famigliare, ma sempre aperta ad un contesto di vocazione popolare molto più ampio.
Decidere di aprire un’attività in un contesto di periferia è quasi un atto rivoluzionario di questi tempi. Una rivoluzione che mette di nuovo al centro il contatto umano e anche l’impegno sociale di un’intera comunità. E anche in questo caso, la domanda che ci si pone è: come? Lo spiegano due protagoniste di questo piccolo ma grande cambiamento: Maria Barbara De Marco di Lelabò, dove raggruppano scenografe, costumiste, lavoratrici del mondo del teatro, e Alessandra, che ha appena aperto a ZOC uno studio fotografico
ZOC è diventato un polo culturale e artigianale per Milano e soprattutto per la sua periferia. Per voi che siete tra le prime ad aver vinto il concorso e avete alle spalle dieci anni di esperienza in questo quartiere, quali sono i vantaggi di una convivenza tra creativi in un contesto periferico?
Maria Barbara: Dal punto di vista lavorativo ci sono vantaggi proprio a livello pratico, grazie alla presenza di diverse maestranze in unico luogo. Così è molto più facile creare collaborazioni su determinati progetti e quindi proporre un’offerta ampia e variegata a un ipotetico cliente. Noi di LeLabò lavoriamo soprattutto per il mondo del teatro e dello spettacolo; perciò, collaboriamo spesso per esempio con Alessandra, che ha uno studio fotografico a ZOC, con cui abbiamo già allestito mostre fotografiche e di costumi di scena cuciti da noi. Ma anche con il liutaio, che ci aiuta spesso nella realizzazione di oggetti di scena un po’ più particolari. Quindi, dal punto di vista creativo e realizzativo, il fatto di avere come vicini una serie di attività di questo tipo è sicuramente un plus, è uno stimolo alla produzione creativa alimentato proprio dalla diversità delle realtà presenti. Poi c’è un discorso sociale: Zoia Officine Creative ha creato reti di collaborazione con diverse associazioni di quartiere aprendosi al quartiere stesso. Credo che in un contesto periferico sia più facile dar vita a questo tipo di iniziative e collaborazioni.
Tra le condizioni per l’apertura di un’attività a ZOC, c’è quella di promuovere progetti e iniziative a prezzi contenuti aperti al quartiere.
Maria Barbara: Sì, proponiamo diverse attività al quartiere, anche se il covid ha fatto un po’ scemare alcune iniziative. Per esempio, noi di Lelabò proponevamo diversi corsi, io tenevo quello di taglio e cucito. Quello che facciamo quotidianamente a lavoro insomma. Poi, come dicevo, abbiamo allestito con Alessandra diverse mostre aperte e gratuite per tutta la cittadinanza. Un’altra iniziativa che continuiamo a proporre e che piace moltissimo al quartiere è lo swap party (scambio di abiti, giocattoli, libri senza l’utilizzo di denaro per l’acquisto) che ho ideato anni fa con una mia amica ed ha sempre avuto molto successo.
Qual è la risposta del quartiere alle iniziative proposte da ZOC?
Maria Barbara: All’inizio è stato molto difficile perché le persone sono sempre un po’ diffidenti davanti alle novità ma piano piano si è creato un gruppo di abitanti del quartiere molto interessato a quello che si fa a ZOC. Sempre causa Covid, lavorando per il settore dell’intrattenimento, siamo riusciti a proporre meno attività e progetti a causa delle restrizioni, ciò nonostante, la risposta del quartiere è stata molto positiva, la gente aveva voglia di uscire e fare cose. Dobbiamo tutti un po’ ricalibrarci sulla base delle nuove abitudini delle persone.
Pensi che quello di ZOC sia un modello replicabile in altri quartieri periferici di Milano?
Maria Barbara: Direi di sì, anche se varia molto dal tipo di attività che vengono integrate nelle strutture abitative. Nel senso che questo tipo di offerta funziona per Zoia, per un altro quartiere magari è meglio puntare su qualcosa inerente al digitale, in un altro alle utilities e così via. Bisogna captare le necessità dal quartiere stesso aggiustando il tiro un po’ alla volta, non c’è niente di statico. Nel caso di Zoia Officine Creative c’è stata l’idea di CCL di piantare un seme in un terreno ancora incolto. Qui non c’era nulla, era un po’ un quartiere “dormitorio” e l’istituzione di una serie di attività a stampo creativo poteva essere la giusta leva per risollevare la situazione.
C’è chi come Maria Barbara lavora a Zoia Officine Creative da dieci anni e chi, invece, come Alessandra, ha deciso di stabilirsi qui da poco. Cosa le accomuna? La passione per l’arte e la voglia di fare qualcosa di bello (e soprattutto utile) per tutta la comunità.
Come hai conosciuto ZOC e come sei arrivata a Zoia Officine creative?
Alessandra: Sono arrivata a ZOC circa un anno e mezzo fa, dove ho conosciuto Maria Barbara di Lelabò. Lei mi offriva il suo spazio per fare foto ai miei clienti quando ne avevo bisogno. Poi, ci siamo avvicinate sempre di più, abbiamo costruito un bel rapporto; quindi, abbiamo deciso di creare una collaborazione: io usavo parte del suo spazio per il mio lavoro e intanto scattavo fotografie per i costumi di scena cuciti da Lelabò. È stato un gesto di grande apertura e accoglienza nei miei confronti e allo stesso tempo il primo di molti progetti che abbiamo creato insieme. Dopo un po’ si è liberato lo spazio in condivisione con i G.A.S. dove mi sono spostata e dove sono stata accolta subito in una grande famiglia… io la chiamo proprio famiglia perché abbiamo tutti uno scopo comune, ci accomunano le stesse passioni; quindi, è come sentirsi a casa per me.
Qual è stata la tua prima impressione di ZOC?
Alessandra: Uno shock, in positivo! Non pensavo nemmeno esistesse una realtà del genere. Prima viaggiavo con tutta la mia attrezzatura, flash, fondali, obiettivi… anche se usavo anche come “studio” una stanza nella mia casa. Quindi avevo comunque già uno spazio che mi permetteva di lavorare, ma sono rimasta affascinata dalla realtà di ZOC, dallo spirito di comunità che si respira. Ti senti davvero partecipe di qualcosa! Penso sinceramente che sia un progetto onorevole perché dietro non c’è meramente un discorso di guadagno, ma c’è una forma di apertura alla comunità, all’arte. ZOC è una vera e propria fucina della creatività dove tutti supportano tutti. Ma prima del supporto concreto c’è del pensato. Se ci scegliamo è per una affinità elettiva. C’è una condivisione del sapere e del saper fare che nel mio caso riguarda l’immagine, poi c’è la musica, il teatro…
Hai già in mente delle iniziative che vorresti proporre al quartiere?
Alessandra: In realtà sì! Mi piacerebbe fare dei ritratti spot degli abitanti del quartiere, sia in studio che in esterna, e organizzare poi una mostra aperta a tutti. Bisogna far sentire la gente del quartiere coinvolta in quello che stiamo facendo, così che anche loro possano credere in quello che facciamo noi di ZOC. Per questo stiamo noi di Officine Creative stiamo pensando di organizzare corsi e attività che vadano oltre alla creatività in senso stretto. Perché alla fine bisogna ascoltare i bisogni del quartiere e l’importante, qualsiasi attività si faccia, è sapere e far sapere ai cittadini che esiste un punto di ritrovo e di aggregazione per tutti.