Schiavi degli oggetti prodotti?
All’inizio degli anni ’70, precisamente nel 1971, in un clima sociale in forte evoluzione, Paolo VI pubblica uno dei testi magisteriali più belli e innovativi, sia per il linguaggio utilizzato che per i contenuti. Il titolo di questo documento suona così: “Octogesima adveniens” (=OA) e si comprende subito che l’occasione sono gli ottant’anni dalla pubblicazione della prima enciclica sociale, la Rerum novarum.
Per la prima volta compare, nei documenti della Chiesa di maggior profilo, la trattazione di un “fenomeno di grande importanza”: l’urbanesimo. Paolo VI è preoccupato dei cambiamenti in atto, in primis dell’esodo permanente dalle campagne alle città che «conducono a concentramenti di popolazione, dei quali a fatica si riesce a immaginare l’ampiezza, tanto che già si parla di megalopoli, raggruppanti parecchie decine di milioni di abitanti» (OA 8). Il Papa teme che alcuni processi in atto possono generare delle conseguenze negative. Per tali ragioni afferma: «Mentre talune imprese si sviluppano e si concentrano, altre si spengono o si spostano, creando nuovi problemi sociali: disoccupazione professionale o regionale, riqualificazione e mobilità delle persone, adattamento permanente dei lavoratori, disparità di condizioni nei diversi settori dell’industria. Utilizzando gli strumenti moderni della pubblicità, una competizione senza limiti lancia instancabilmente nuovi prodotti e cerca di attirare il consumatore, mentre i vecchi impianti industriali, ancora in grado di produrre, diventano inutili. Mentre vasti strati di popolazione non riescono ancora a soddisfare i loro bisogni primari, ci si sforza di crearne di superflui» (OA). Dietro a queste parole troviamo una prima denuncia della società dei consumi e giustamente Paolo VI si chiede: «Dopo aver affermato un necessario dominio sulla natura, non diventa ora schiavo degli oggetti che produce?» (OA 9). La domanda non appare affatto retorica a fronte dei risultati che la storia ancora oggi ci consegna.
Attualizzando l’interrogativo del Papa ci chiediamo: quanto oggi siamo effettivamente schiavi degli oggetti prodotti? Basta salire sulle nostre metropolitane per vedere tante persone estraniate dalla realtà e immerse nell’attento utilizzo dei palmari. Ma al di là degli effetti distorcenti creati dalla società dei consumi, l’urbanesimo genera altri problemi tra cui la solitudine, anzi dice bene il Pontefice “una nuova solitudine […] nella folla anonima che lo circonda e in mezzo alla quale egli si sente come straniero» (OA). La questione di fondo, sulla quale l’ Octogesima adveniens si sofferma è la “crescita disordinata” che l’urbanesimo porta con due grosse conseguenze: le discriminazioni e l’indifferenza. Basta guardare a come si sviluppa la politica della casa per accorgersi di come questa crescita non omogenea della città crei emarginazione.
don Walter Magnoni, responsabile Servizio per la Pastorale Sociale e il Lavoro della Diocesi di Milano